
– Esiste un minimo vitale dello stipendio che il creditore non può pignorare in caso di debiti non pagati e che succede se ho ceduto il quinto dello stipendio alla finanziaria? –
Il pignoramento dello stipendio è soggetto a una serie di limiti a seconda che esso avvenga presso il datore di lavoro o presso la banca ove il lavoratore possiede il conto corrente su cui è accreditata la busta paga. Di questi limiti parleremo a breve. Ma, prima di tutto, bisogna chiarire che non esiste, per lo stipendio, un vero e proprio minimo vitale impignorabile, per come invece è previsto per le pensioni. Dunque, una volta applicati i limiti di pignoramento stabiliti dalla legge, tutto il resto della busta paga è pignorabile. Per esempio, può essere pignorato anche uno stipendio di poche centinaia di euro.
Non bisogna però lasciarsi prendere dallo sconforto: esistono delle soluzioni, legalmente consentite, che consentono al debitore di non rinunciare neanche a un euro del proprio salario. Anche di questo parleremo a breve. Procediamo con ordine.
Quali sono i limiti di pignoramento dello stipendio
Parliamo subito dei limiti entro cui lo stipendio può essere pignorato per comprendere fino a quanto il lavoratore può stare sicuro. Per fare ciò dobbiamo distinguere due ipotesi: quando il pignoramento è notificato al datore di lavoro e quando, invece, avviene in banca. Per sapere se il pignoramento è avvenuto nell’una o nell’altra forma il debitore non deve far altro che leggere l’atto che gli viene notificato dall’ufficiale giudiziario, nella tradizionale busta verde degli atti giudiziari: in esso è riportato il nome del terzo pignorato, ossia l’istituto di credito o l’azienda presso cui presta lavoro.
1 – Pignoramento notificato al datore di lavoro
Il creditore può notificare l’atto di pignoramento (cosiddetto pignoramento presso terzi) al datore di lavoro del debitore (oltre a quest’ultimo che ne deve essere messo a conoscenza per potersi, eventualmente, difendere e opporsi). Il datore di lavoro comunicherà poi, al creditore pignorante, con raccomandata a.r. o con posta elettronica certificata, se il dipendente è in credito di somme di denaro o meno (cosa che, per esempio, nel caso di dimissioni o licenziamento porterebbe a un pignoramento negativo).
Come a molti noto, il creditore non può pignorare più di 1/5 (un quinto) dello stipendio. Il “quinto” viene calcolato sul netto dello stipendio e non sul lordo. Per cui, uno stipendio netto di 1.000 euro subisce una trattenuta di 200 euro, pari cioè al 20%.
Ritorniamo alla procedura che, dopo la comunicazione dell’azienda al creditore, prevede un passaggio davanti al giudice. Nell’atto di pignoramento presso terzi, infatti, è contenuta una citazione a comparire a un’udienza innanzi al tribunale civile, rivolta sia al debitore che al terzo pignorato. A tale udienza, il magistrato verifica se il terzo pignorato ha fornito dichiarazione positiva (esistenza di crediti del lavoratore) o negativa (inesistenza di crediti del lavoratore) e, nel primo caso, autorizza il pignoramento. Questo significa che, da allora in poi – e non prima – il datore di lavoro sarà obbligato per legge a trattenere 1/5 dello stipendio e versarlo direttamente al creditore. Questo dovrà avvenire fino a quando il debito non sia stato completamente saldato.
Questa regola vale per qualsiasi tipo di stipendio, a prescindere dall’importo erogato al dipendente. Per ipotesi, anche uno stipendio di 300 euro resta pignorabile per un quinto, alla pari di uno da 5.000 euro al mese. Non esistono, come detto in apertura, soglie sotto le quali lo stipendio non sia pignorabile.
Le regole non cambiano nel caso in cui il dipendente sia creditore solo del TFR: anche su di esso si applica il limite di 1/5 per il pignoramento.
Le stesse regole si applicano all’agente di commercio: anche per essi, infatti, vige il limite di 1/5 per il pignoramento delle provvigioni nei confronti della società committente presso cui hanno il mandato.
Come si calcola il pignoramento del quinto dello stipendio?
Come detto si deve prendere a riferimento l’importo netto dello stipendio e non la quota lorda.
Per importo netto si intende al netto delle trattenute di legge (imposte e contributi), oltre al netto di eventuali cessioni volontarie o deleghe di pagamento che dovessero gravare sullo stipendio o la pensione.
Più in dettaglio, nel caso in cui il creditore proceda con l’espropriazione verso stipendio o pensione del debitore con cessioni volontarie o deleghe di pagamento, il tribunale emetterà ordinanza assegnando al creditore il 1/5 dell’emolumento, al netto delle trattenute di legge detratti gli importi della quota/e pagata/e dal datore di lavoro o ente previdenziale a garanzia del prestito.
Che succede se, insieme al pignoramento, c’è la cessione del quinto dello stipendio?
Non si prendono in considerazione eventuali cessioni del quinto fatte volontariamente dal lavoratore in favore di banche o finanziarie. Per cui, tanto per esemplificare, se il debitore con uno stipendio di 1.000 euro subisce già la trattenuta del quinto per l’acquisto di un’auto, il pignoramento sarà ugualmente di 200 euro, ossia il 20% di mille, nonostante a lui, in busta paga, gli arrivino solo 800 euro.
Il calcolo quindi da effettuare è il seguente:
“emolumento netto – importi di cui alla cessione e/o delega = somma sulla quale calcolare il 1/5 pignorabile”
Che succede se ci sono più pignoramenti contemporaneamente?
Quando vengono notificati più pignoramenti nello stesso momento di norma il successivo si va a soddisfare solo dopo che quello precedente sia stato completamente saldato. La procedura è la stessa di cui abbiamo parlato prima, ma il giudice autorizzerà l’assegnazione delle somme “in accodo”, ossia l’uno di seguito all’altro.
Questa regola, tuttavia, non vale quando i crediti che originano il pignoramento abbiano una causa differente. Le cause possono essere, di norma, di tre tipi:
– crediti privati (per es. un fornitore, un professionista, un parente per un prestito, la controparte che ha vinto una causa, ecc.)
– crediti per tasse o altre somme dovute allo stato (si tratta, quindi, quasi sempre di Equitalia);
– crediti per alimenti (è il caso dell’ex moglie cui il giudice abbia riconosciuto l’assegno mensile).
Ebbene, quando concorrono contemporaneamente più crediti di natura diversa (per es.: Equitalia e un fornitore), il pignoramento dei due può avvenire anche contemporaneamente, superando quindi il limite di 1/5, ma a condizione che la somma di tali pignoramenti non faccia scendere lo stipendio a oltre la metà.
Che succede se il lavoratore si dimette o viene licenziato durante il pignoramento?
Se il rapporto di lavoro cessa, per qualsiasi causa, quando ancora il datore di lavoro effettua le trattenute sullo stipendio (perché il credito non è stato ancora integralmente pagato), cessa anche il pignoramento. Per cui, se il dipendente viene assunto presso altra azienda, il pignoramento andrà rinnovato.
2 – Pignoramento in banca
Il pignoramento in banca avviene con la stessa procedura del pignoramento presso il datore di lavoro, con l’unica differenza che, in questo caso, l’atto viene notificato all’istituto di credito e al debitore (non quindi presso l’azienda ove lavora).
Nel momento in cui l’atto di pignoramento viene notificato, se sul conto non ci sono somme depositate, il pignoramento si chiude con esito negativo.
Se invece ci sono somme depositate, e si tratta solo di redditi di lavoro dipendente, il pignoramento non può essere mai integrale, ma può riguardare solo le somme superiori a 1.345,56 euro. Questo perché, dalla scorsa estate, la legge dispone che non sono pignorabili le somme depositate sul conto pari a tre volte l’assegno sociale: poiché l’assegno sociale per il 2016 è 448,52, il triplo è 1.345,56.
Ne consegue che, se sullo stipendio ci sono depositati 2000 euro, il creditore potrà pignorare solo 654,44 euro (la differenza tra 2.000 e 1.345,56).
Se, invece, sullo stipendio ci sono depositati 1.300 euro, il creditore non potrà pignorare alcunché.
Pertanto, il lavoratore che riesca prelevi periodicamente dal conto alcune delle somme in modo da tenere la provvista sotto la soglia di 1.345,56 euro non rischierà il pignoramento dei risparmi.
Invece, prima del 27 giugno 2015, le somme sul conto potevano essere pignorate integralmente.
Invece, per tutte le successive mensilità a titolo di stipendi che verranno accreditate sul conto corrente, il pignoramento potrà avvenire nel rispetto dei limiti di 1/5, secondo le regole di cui abbiamo parlato prima, nel caso di pignoramento presso il datore di lavoro.
Per inciso, nel caso in cui ad essere pignorata la pensione, viene fatto salvo, per i successivi accrediti
La violazione dei nuovi limiti di pignoramento
Nel caso in cui il credito viola i nuovi limiti imposti, pignorando somme superiori a quelle previste dalla riforma, si ha l’inefficacia del pignoramento. L’inefficacia è solo parziale, ossia limitata esclusivamente alla parte di somme pignorate oltre i limiti, mentre per quelle entro i limiti il pignoramento resta valido.
L’inefficacia è rilevabile anche dal giudice d’ufficio dell’esecuzione.
Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it/