Da sapere
– I criteri per la determinazione dell’assegno divorzile o di mantenimento: rileva il tenore di vita, la capacità economica del richiedente, il suo apporto alla famiglia e la durata del matrimonio –
Come si calcola l’assegno di mantenimento
Per determinare l’assegno di mantenimento e quello di divorzio il giudice deve procedere prima a verificare se sussiste il diritto ad ottenere la rendita e poi ne calcola l’ammontare. Nella prima fase, quindi, verifica che:
- vi sia una disparità di redditi tra i due ex coniugi;
- che, in forza di questa disparità, uno dei due non sia in grado di conservare lo stesso tenore di vita che aveva durante la convivenza;
- che il coniuge che avrebbe diritto al mantenimento non sia responsabile della separazione (cosiddetto “addebito”).
Verificata l’esistenza del diritto al mantenimento, il magistrato ne determina l’ammontare. A tal fine tiene conto di una serie di parametri quali:
- il tenore di vita goduto dalla coppia durante il matrimonio;
- le effettive possibilità economiche del coniuge obbligato al mantenimento, alla luce del fatto che questi potrebbe andare incontro, dopo la separazione, a maggiori spese come l’affitto di un nuovo appartamento, le utenze, ecc.;
- l’apporto che, durante il matrimonio, il coniuge beneficiario ha dato alla famiglia e ai figli, eventualmente sacrificando le proprie aspirazioni di carriera;
- la durata del matrimonio;
- l’età del coniuge beneficiario e la sua eventuale attitudine al lavoro: tanto più è giovane il coniuge che ha diritto all’assegno, tanto più l’ammontare sarà basso, avendo questi ancora la possibilità di trovare occupazione e procurarsi da sé un reddito. Nel caso di età avanzata e scarsa professionalità acquisita negli anni, i giudici tendono a riconoscere un mantenimento più elevato.
La durata del matrimonio
Per evitare che, in caso di separazione o divorzio, il mantenimento all’ex coniuge possa avere il carattere di una rendita parassitaria, la Cassazione ha più volte detto che l’ammontare di tale assegno deve essere sempre rapportato alla durata del matrimonio, o meglio “della comunione di vita tra i coniugi” (Cass. sent. n. 10644/2011), ricomprendendovi anche eventuali periodi pregressi alle nozze in cui la coppia ha convissuto. È quanto ricorda anche il Tribunale di Roma in una recente sentenza (Trib. Roma, sent. dell’8.01.2016).
Quanto più lunga è stata la durata del matrimonio, tanto più il coniuge economicamente più debole (con reddito più basso o disoccupato) è legittimato a conservare il livello di vita acquisito durante il matrimonio; all’inverso, quanto meno è durato il matrimonio, tanto più sarà legittima la riduzione dell’assegno (Cass. SU sent. n. 11490/1990, n. 12687/2007).
Infatti, solo un’unione che si sia consolidata l’unione consolidata da un periodo di tempo sufficientemente lungo, tale da generare un assetto stabile degli equilibri personali e patrimoniali, può creare in capo al coniuge economicamente più debole delle aspettative destinate a non estinguersi con la fine del rapporto coniugale.
Inizialmente la Cassazione aveva sposato un’interpretazione più intransigente: il “matrimonio lampo” non consente di sperare nel mantenimento perché è troppo breve il tempo dell’unione affinché si possa generare un’aspettativa di rendita per il futuro. Successivamente, la Corte ha mitigato la propria posizione, affermando che anche in presenza di una convivenza durata poco spetta comunque l’assegno di mantenimento se ci sono tutti gli altri elementi (disparità di reddito tra gli ex coniugi; assenza di addebito a carico di chi chiede il mantenimento; mancanza di redditi in capo a quest’ultimo che gli consentano di conservare lo stesso tenore di vita goduto durante il matrimonio).
Tutt’al più la durata del matrimonio può influire sulla quantificazione dell’assegno, determinandone un ammontare inferiore rispetto a quello di un’unione più duratura (specie se l’ex moglie è ancora giovane e in età da lavoro), ma non può comportarne la completa esclusione.
Dunque, possiamo dire che la durata del matrimonio costituisce una circostanza che influisce sull’ammontare dell’assegno di divorzio e non sul suo riconoscimento a monte.
La durata va calcolata con riferimento all’intera durata del vincolo, a partire da una eventuale convivenza prematrimoniale fino alla sentenza di divorzio (Cass. sent. n. 21805/2006).
Se il matrimonio è durato poco, ma il coniuge economicamente più debole si dedica dopo la separazione alla cura quotidiana dei figli continuando a sacrificare le proprie aspirazioni lavorative, avrà diritto ad un assegno di divorzio commisurato alla effettiva durata del suo impegno a favore della famiglia.
Fonte: Raffaella Mari da http://www.laleggepertutti.it