– Addebito: non c’è bisogno di un comportamento violento per poter abbandonare il tetto coniugale senza essere perciò dichiarati responsabili della rottura del matrimonio dal Tribunale –
Quando i litigi sono particolarmente forti e ormai tra i coniugi è inequivocabile la rottura della comunione spirituale, si può abbandonare la casa coniugale senza paura di subìre l’addebito nella successiva causa di separazione. È quanto chiarito dalla Cassazione con una sentenza di pochi giorni fa (Cass. ord. n. 7163/2016 del 12.04.2016).
In generale, bisogna andarci cauti a lasciare casa e sbattersi la porta alle spalle, anche se le liti e le incomprensioni nella coppia sono all’ordine del giorno: come infatti abbiamo spiegato nella nostra guida sull’abbandono del tetto coniugale, questo comportamento è visto, dai giudici, come fonte di responsabilità per la rottura del matrimonio e causa di addebito nel giudizio di separazione (con la conseguenza che chi se ne va non può più chiedere il mantenimento all’ex). Ma ogni regola ha la sua eccezione.
È chiaro che chi abbia subìto violenze fisiche dall’altro coniuge deve innanzitutto tutelare la propria integrità e, quindi, è legittimato ad andare via di casa, senza che ciò possa comportare per lui responsabilità matrimoniali. Ciò, però, su cui si dubita spesso è se la stessa facoltà sia concessa a chi, pur in assenza di violenze, viva una situazione di conclamata rottura della comunione e di intollerabilità della convivenza.
A chiarire il punto ci ha pensato la Cassazione.
Secondo la Corte, tutte le volte in cui viene provata una situazione di conflitto permanente tra i coniugi, questa è indicativa della definitiva rottura della comunione spirituale ed è pertanto giustificato il comportamento del coniuge lasci la casa coniugale. Quindi, l’allontanamento tetto domestico non richiede necessariamente una violenza o un pericolo per l’incolumità del coniuge, ma può essere consentito anche quando non c’è più alcuna possibilità di riavvicinamento tra marito e moglie perché tra di essi vi è ormai un “conflitto permanente”.
In sintesi, lasciare l’abitazione familiare prima della separazione è lecito solo se vi è una consistente crisi coniugale in essere: non basta ad esempio addurre i litigi col consorte.
Per non incorrere in una violazione dei doveri coniugali, occorre provare che l’abbandono è dipeso dal comportamento dell’altro coniuge oppure che il suddetto abbandono sia intervenuto quando già la rottura si è verificata come conseguenza di altri fatti.
Un valido motivo di allontanamento dalla casa familiare sono, come detto, i continui e stabili litigi; ma lo è anche la presentazione della domanda di separazione o l’eccessiva invadenza della suocera (così, almeno, si è espressa una volta la Cassazione).
Ovviamente, per evitare l’addebito non basta affermare davanti al giudice che si è trattato di un comportamento necessitato dal “conflitto permanente”.
Tali fatti andranno anche provati. E qui potrebbero sorgere i veri problemi atteso che le liti, spesso, si consumano nelle quattro mura domestiche e le parti in causa non possono essere testimoni di sé stessi. Quindi, bisognerebbe chiedere la testimonianza di altri soggetti i quali, però, non sempre sono informati dei fatti. Per superare l’impasse, i coniugi potrebbero congiuntamente sottoscrivere un documento in cui si danno atto di tale rottura e si autorizzano rispettivamente a lasciare il tetto coniugale: la firma di un accordo scritto è certamente la soluzione migliore che evita ogni problema di prova in una successiva causa.
Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it