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– Le ipotesi di licenziamento durante il periodo protetto, fino a un anno di età del bambino, il periodo in prova, la ristrutturazione, la cessione o la cessazione del ramo d’azienda, l’outsourcing, il licenziamento disciplinare –

Si può licenziare un dipendente durante:

  • l’assenza dal lavoro per astensione obbligatoria e facoltativa, congedo di paternità, riposi giornalieri e permessi per malattia del bambino
  • nel cosiddetto periodo protetto ossia fino al compimento di 1 anno di età del bambino.

L’astensione e il rientro al lavoro

Al termine dei periodi di astensione obbligatoria o di congedo di paternità, i lavoratori hanno diritto di conservare il posto di lavoro e, salvo che vi rinuncino espressamente, di rientrare nella stessa unità produttiva nella quale erano occupati in precedenza (o in altra ubicata nel medesimo comune), e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino.

Essi hanno inoltre diritto di essere adibiti alle mansioni svolte da ultimo o a mansioni equivalenti, nonché di beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro, previsti dai contratti collettivi o in via legislativa o regolamentare, che sarebbero loro spettati durante l’assenza.

Il divieto di licenziamento

L’azienda non può assolutamente intimare il licenziamento:

 

  • alla lavoratrice madre dall’inizio della gravidanza e sino al compimento di un anno di età del bambino. L’inizio della gestazione si presume avvenuto 300 giorni prima della data presunta del parto indicata nel certificato di gravidanza;
  • del padre lavoratore che fruisce del congedo di paternità, per la durata del congedo stesso e fino al compimento di un anno di età del bambino;
  • causato dalla domanda o dalla fruizione dell’astensione facoltativa e del congedo per malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore.

Le conseguenze del licenziamento

Il licenziamento durante il periodo protetto è nullo e obbliga l’azienda alla reintegra sul posto di lavoro e al pagamento delle mensilità arretrate.

Quando è possibile licenziare la lavoratrice madre

Solo in casi eccezionali l’azienda può provvedere al licenziamento durante il cosiddetto “periodo protetto”. Ecco tali casi:

– Licenziamento disciplinare per colpa grave del lavoratore (giusta causa di licenziamento)

Prima di valutare l’eventuale colpa della lavoratrice, il giudice deve tenere comunque conto delle sue particolari condizioni psico-fisiche (Cass. sent. n. 16060/2004, C. App. Ancona sent. del 19.08.2009). Ad esempio, è stato ritenuto valido il licenziamento per assenze ingiustificate ed inaffidabili (Cass. sent. n. 9405/2003) e nullo quello per un’assenza ingiustificata protrattasi per pochi giorni (Cass. sent. n. 19912/2011).

– Cessazione dell’attività aziendale

Il licenziamento è giustificato solo in presenza della cessazione totale dell’attività aziendale (Trib. Bari sent. del 24.04.2014; Cass. sent. n. 1334/1992) mentre non è giustificato nell’ipotesi di cessazione del ramo d’azienda alla quale la lavoratrice è addetta (Cass. sent. n. 18363/2013).

– Ristrutturazione, esternalizzazione e cessione del ramo d’azienda

Con una recente sentenza la Cassazione (Cass. sent. n. 11975/2016 del 10.06.2016) ha ritenuto illegittimo il licenziamento determinato da una semplice esternalizzazione del servizio cui era adibita la lavoratrice. Solo la cessione del ramo d’azienda potrebbe giustificare la cessazione del rapporto di lavoro. Quindi, se l’azienda decide di ristrutturarsi e di ridurre le spese, affidando alcuni servizi in outsourcing, la dipendente in precedenza addetta a tali servizi non può essere licenziata se ha appena avuto un figlio. Neanche la ristrutturazione aziendale, dunque, può dinanzi alla tutela della maternità.

Il licenziamento, anche se dettato da riduzione del personale per ottimizzare la produzione e tagliare gli sprechi rappresenta – secondo tale sentenza – una clamorosa violazione della normativa secondo cui “le lavoratrici non possono essere licenziate fino al compimento di un anno di età del bambino”.

Secondo la Cassazione (Cass. sent. n. 27055/2013) è illegittimo il licenziamento motivato da ragioni di ristrutturazione produttivo-organizzativa in quanto non costituenti un’ipotesi di cessazione dell’attività d’azienda.

– Scadenza del contratto a tempo determinato

Ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice era stata assunta.

Tale causa è possibile solo per i contratti a tempo determinato e non per quelli a tempo indeterminato.

– Assunzione in prova con esito negativo della prova

Il licenziamento all’esito della prova deve essere motivato: l’azienda deve cioè motivare il giudizio negativo circa l’esito della prova, proprio per scongiurare il rischio di abusi ed escludere che l’interruzione del rapporto di lavoro sia stata determinata dallo stato di gravidanza. Il licenziamento semplice, senza motivazioni, è legittimo solo se il datore di lavoro non è a conoscenza dello stato di gravidanza.

Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it

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