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– Il dipendente che voglia far valere il diritto agli arretrati e alle differenze retributive deve contestare il licenziamento entri 60 giorni dalla data dello stesso, anche se il rapporto di lavoro era irregolare o in nero –

Anche chi è stato “assunto in nero” ossia “non dichiarato” e “non regolarizzato” deve contestare il licenziamento entro 60 giorni da quando gli è stato comunicato: diversamente perde la possibilità di chiedere non solo il risarcimento del danno per l’illegittima conclusione del rapporto di lavoro, ma anche tutte le buste paga che non gli sono mai state corrisposte o corrisposte in misura ridotta (cosiddette “differenze retributive”). È quanto chiarito dal Tribunale di Napoli con una recente sentenza (Trib. Napoli, sent. del 9.03.2016).

Ma procediamo con ordine.

Quali diritti a chi è assunto in nero?

Chi lavora, di fatto, alle dipendenze di un’altra persona o di una ditta senza però essere mai stato regolarizzato (il cosiddetto “dipendente in nero”) ha gli stessi diritti (e doveri) del dipendente inquadrato regolarmente con contratto scritto e dichiarato alle competenti autorità. Questo significa che gli spettano le stesse retribuzioni dovute per il lavoro ordinario, sin dalla data di costituzione del rapporto di lavoro. Egli può rivendicare gli arretrati entro cinque anni dalla data di cessazione del contratto (licenziamento o dimissioni): dopo tale termine il diritto cade in prescrizione.

Per contestare il licenziamento, però, i termini sono molto più brevi:

  • entro 60 giorni dalla data di comunicazione del licenziamento stesso ( 32, co. 4, della legge 183/2010) deve inviare una raccomandata a.r. all’azienda per “impugnare” il licenziamento;
  • entro i successivi 180 giorni deve avviare la causa in tribunale.

Il rispetto di tali due termini è essenziale non solo per far accertare, al giudice, l’esistenza di un rapporto di lavoro (benché non dichiarato e, quindi, “in nero”), ma anche per chiedere le eventuali differenze retributive. Scaduto anche uno solo dei due predetti termini, il dipendente non ha armi di difesa a suo vantaggio e non potrà più far valere i propri diritti.

Secondo la sentenza in commento, una volta verificatasi la decadenza per decorrenza di uno dei due predetti termini, i diritti del lavoratore non possono più essere tutelati: ciò non riguarda solo il diritto alla costituzione di un rapporto di lavoro, ma anche i diritti da esso scaturenti come, ad esempio, le differenze retributive e il risarcimento dei danni.

Questa conclusione, spiega il giudice, scaturisce dal fatto che la legge (Art. 32, co. 4, della legge 183/2010) punta a introdurre “una disciplina generale della decadenza in materia di lavoro” che va oltre l’impugnativa del licenziamento o di scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro, abbracciando anche ipotesi che non attengono propriamente alla risoluzione del rapporto di lavoro, come la cessione del contratto di lavoro.

Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it

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