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– Registrare di nascosto una conversazione tra colleghi sul luogo di lavoro non può essere né reato né motivo di licenziamento a patto che siano rispettate delle condizioni –

Registrare di nascosto una conversazione tra presenti è consentito a patto che non ci si trovi nel domicilio o nel luogo di lavoro del soggetto registrato. Così, in linea di massima, non è possibile usare il registratore nello studio privato del capo o nella stanza dell’ufficio condivisa con i colleghi di lavoro. Eccezionalmente, però, la registrazione di conversazioni tra colleghi è legittima a patto che vengano rispettate determinate condizioni. Condizioni che sono state più volte specificate dalla giurisprudenza e, da ultimo, dal tribunale di Bergamo [1]. Ecco cosa bisogna sapere sull’argomento.

Registrare conversazioni è legale

Registrare una persona a sua insaputa, senza quindi raccoglierne il consenso preventivo, è legale perché – come ha specificato la Cassazione – chi parla accetta il rischio di essere registrato. Del resto, il registratore non è altro che una “prolunga” della memoria umana: immagazzina i dati percepiti dall’orecchio senza carpire segreti ulteriori. Chi vuol mantenere riserbo su un fatto deve essere il primo a custodirlo. Parlare con una persona significa quindi svelare a questa i propri pensieri, aprirli all’altrui conoscenza. Non ci si può lamentare se poi la propria voce viene registrata, oltre che dal cervello, da un dispositivo elettronico.

Ciò che è vietato fare è chiaramente diffondere il file tra soggetti estranei alla conversazione: chi parla sa che solo i presenti possono ascoltarlo e solo a loro intende rivelare le proprie confidenze. Quindi, è vietato pubblicare l’audio su Internet o diffonderlo in una chat. L’uso che di tale registrazione si può fare, a parte quella della semplice archiviazione, è di tipo giudiziale: la si può utilizzare per difendere i propri diritti in tribunale. Solo allora diventa lecito condividere il file con altri soggetti che però, in questo caso, sono pubblici ufficiali: la polizia, i carabinieri o il giudice. 

La legittimità della registrazione senza l’altrui consenso è tuttavia subordinata a due ulteriori condizioni oltre a quella del divieto di condivisione. La prima: non si può registrare ciò che è stato detto in propria assenza. Non si può quindi lasciare un registratore acceso durante una conversazione, nasconderlo per bene, e poi allontanarsi ingenerando nei presenti la convinzione di non essere ascoltati. Come detto, chi parla accetta il rischio di essere registrato solo da coloro che partecipano alla chiacchierata. Il secondo: non ci si può trovare nel domicilio del soggetto registrato, ossia presso la sua dimora, sia essa luogo di residenza o meno. Al domicilio viene equiparata l’auto e l’ufficio personale, quello cioè non aperto al pubblico. Sul punto, è necessaria una precisazione.

Registrazioni nell’ufficio: sono lecite?

Le registrazioni fatte nell’altruiluogo di lavoro sono lecite solo se tale ambiente è aperto al pubblico. Si pensi a un negozio, nell’area ove accedono i clienti, o in un bar. Non è ammessa la registrazione nel retrobottega, nello studio del professionista (il medico, l’avvocato, il commercialista, ecc.) o nell’ufficio del datore di lavoro ove può accedere solo chi è stato autorizzato. 

La registrazione nel luogo di lavoro è illecita anche se il soggetto registrato è un semplice dipendente. Le registrazioni alle conversazioni tra colleghi sono tendenzialmente illecite e possono comportare non solo una querela penale per il reato di illecite interferenze nella vita privata altrui ma anche il licenziamento, in quanto comportamento contrario ai doveri del dipendente.

Quando le registrazioni tra colleghi sono consentite?

Come dicevamo in apertura, eccezionalmente le registrazioni dei colloqui tra il dipendente e i colleghi di lavoro sono consentite, anche senza il consenso dei presenti, se ciò serve per tutelare i propri diritti dinanzi ad accuse infondate, reati o altri illeciti ai propri danni. 

Come chiarito dal tribunale di Bergamo [1], nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato è legittima la condotta di un lavoratore che registri di nascosto le conversazioni con i colleghi per precostituirsi un mezzo di prova contro il datore di lavoro in una causa futura o imminente, costituendo essa l’esercizio del diritto di difesa. L’utilizzo a fini difensivi di registrazioni di colloqui tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti. E ciò perché bisogna bilanciare le contrapposte istanze della riservatezza da una parte e della tutela giurisdizionale del diritto di difesa dall’altra. 

Pertanto, le suddette registrazioni sono da ritenersi lecite se strettamente finalizzate alla difesa di un proprio diritto e all’acquisizione di fonti di prova, ovvero se il lavoratore è mosso dall’intento di tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e di precostituire una prova a proprio favore. Tale comportamento non legittima il licenziamento, non costituisce illecito disciplinare e non è considerato reato.  

Il giudice ricorda che, secondo la giurisprudenza della Cassazione, «se in astratto il dipendente che registra di nascosto le conversazioni avvenute sul luogo di lavoro può essere licenziato, trattandosi di condotta che viola la riservatezza dei singoli, che ingenera un clima di mancanza di fiducia e collaborazione tra colleghi e che lede irreparabilmente il rapporto di fiducia con il datore di lavoro, tuttavia, la registrazione che sia strettamente connessa ad una specifica e realistica prospettiva di contenzioso potrà esser prodotta in giudizio ed il comportamento non sarà sanzionabile dal punto di vista disciplinare».

Note:

[1] Trib. Bergamo sent. n. 423/2021.

Fonte: La Redazione di www.laleggepertutti.it

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