L’art. 73 del T.U. stupefacenti
L’ordinamento punisce chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope
- con la reclusione da 6 a 20 anni e una multa da € 26.000,00 a 260.000,00 se la sostanza rientra nella tabella I (es: cocaina)
- con una pena diminuita da un terzo alla metà quando si tratta di sostanze stupefacenti il cui effetto drogante è minore come ad esempio cannabis o marijuana (tabella II).
La norma di riferimento è l’art. 73 DPR 309/90 mediante il quale il legislatore si è preposto lo scopo di tutelare la salute pubblica e collettiva ossia un bene giuridico di rilevanza costituzionale che giustifica una risposta sanzionatoria anticipata in caso di coltivazione di stupefacenti.
Difatti, per essere ritenuti colpevoli del reato di coltivazione di stupefacenti non rileva la quantità del principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.
Quando la coltivazione domestica di cannabis non è punita?
Posto questo principio generale la coltivazione domestica di cannabis non sempre è punita.
Sul punto la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta recentemente (sentenza 20389/21) venendo a stabilire che: “il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale”
Riassumendo il ragionamento espresso dalla Cassazione si può affermare che in presenza di determinate circostanze quali:
- Esiguo numero di piante (non vi è un’indicazione precisa del numero di piante che si possono coltivare, in linea di massima secondo le più recenti sentenze il numero deve essere inferiore a 10 unità)
- Rudimentale tecnica di coltivazione (assenza di strumenti di misurazione umidità, fertilizzanti, macchine per la lavorazione della terra, assenza di locali di stoccaggio)
- Modesto quantitativo di principio attivo
- Assenza di sostanze da taglio
- Assenza di prodotti per il confezionamento
- Mancato inserimento nel mercato dello spaccio
l’imputato non verrà punito o verrà emessa una sentenza di proscioglimento per particolare tenuità del fatto ex art 131bis c.p.
I parametri sopra indicati, infatti, portano ad escludere, da una parte, una coltivazione industriale non compatibile invece con un uso personale e, dall’altra, la destinazione allo spaccio che può essere desunta al rinvenimento dei tipici “strumenti da lavoro” quali ad esempio il bilancino e/o prodotti/sostanze per il taglio e il confezionamento della sostanza.
In caso di coltivazione domestica, è importante fare una distinzione:
- Se la coltivazione interessa un numero contenuto di piante, il coltivatore non risponderà del reato di cui all’ ex art. 73 del DPR 309/90, e non sarà, di conseguenza, necessario accertare la quantità di principio attivo ricavabile;
- se la coltivazione interessa invece numerose piante, tanto da essere definita industriale, per non essere puniti occorre verificare che le piante, una volta completato il loro processo di maturazione, non siano in grado di produrre sostanza stupefacente, ovvero che il principio attivo ricavabile sia al di sotto del limite indicato dal Ministero della Salute in una specifica tabella
Sanzioni amministrative per la detenzione di sostanza stupefacente destinata al consumo personale
Sul piano amministrativo, invece, la detenzione di sostanze stupefacenti si punisce con le sanzioni amministrative previste dall’art. 75 del DPR 309/90 la cui durata varia da 2 mesi ad 1 anno nel caso di droghe pesanti come cocaina ed eroina e da 1 a 3 mesi in caso si tratti di sostanza stupefacente del tipo hashish, marijuana e similari.
In concreto, il soggetto trovato in possesso di sostanza stupefacente viene punito con la sospensione e/o il divieto di conseguire:
- la patente di guida per un periodo fino a tre anni;
- licenza di porto d’armi;
- il passaporto;
- il permesso di soggiorno per motivi di turismo.
ciò sulla scorta di una segnalazione fatta dagli Organi di Polizia immediatamente o in ogni caso entro 10 giorni al Prefetto competente il quale convocherà la persona segnalata per decidere se e quali sanzioni amministrative irrogare a seguito di un colloquio. Sanzioni applicate in automatico in caso di mancata comparizione.
Un’ipotesi piuttosto comune è che il detentore di stupefacenti venga invitato a sottoporsi ad un programma terapeutico socio-riabilitativo predisposto dal servizio pubblico per le tossicodipendenze
Se il Prefetto, invece, sempre a seguito del colloquio, ritiene che il soggetto segnalato si asterrà in futuro da comportamenti analoghi può definire il procedimento con un semplice invito a non fare più uso di sostanze stupefacenti.
Altri casi particolari ricorrono se il detentore di stupefacenti sia in possesso di un veicolo o sia minorenne.
Nel primo caso la patente di guida viene ritirata immediatamente
Nel secondo caso, il Prefetto convoca per l’audizione oltre al minore i genitori o coloro che esercitano la responsabilità genitoriale.