– Stress da lavoro e straordinari: come rivolgersi al giudice e ottenere i danni dal datore di lavoro –
Il super lavoro è una pratica sempre più diffusa nelle realtà aziendali, soprattutto in seguito alla diffusione del lavoro da remoto (smart working) e dell’utilizzo dei dispositivi tecnologici per la gestione della propria attività. Tuttavia, ciò può comportare numerosi rischi per la salute del lavoratore, in quanto spesso si traduce in un aumento delle ore di lavoro e nella perdita di una chiara distinzione tra vita privata e lavoro.
Il danno da super lavoro può manifestarsi in diverse forme, come lo stress, l’affaticamento mentale e fisico, la perdita di concentrazione e la riduzione delle prestazioni lavorative. Tali sintomi possono a loro volta influire negativamente sulla vita privata del lavoratore, generando un circolo vizioso difficile da interrompere.
Per questo motivo, è importante che i lavoratori siano consapevoli dei propri diritti e delle modalità per richiedere il risarcimento per il danno da super lavoro. In particolare, è possibile richiedere i danni in base alle norme sulla salute e sicurezza sul lavoro e sulla tutela della salute mentale, e attraverso l’individuazione di un nesso di causalità tra il super lavoro e il danno subito.
In questo articolo, analizzeremo quindi le modalità per richiedere il risarcimento per il danno da super lavoro, fornendo utili consigli e suggerimenti per far valere i propri diritti in maniera efficace e tutelare la propria salute e la propria carriera professionale.
Il danno da super lavoro
Se sei un lavoratore e vuoi chiedere un risarcimento per i danni alla salute che ritieni siano stati causati dai ritmi di lavoro troppo serrati, sappi che dovrai dimostrare di avere le carte in regola. E una volta che avrai superato questa prova, sarà il datore di lavoro a dover dimostrare che tutto è stato invece normale e sostenibile.
In altre parole, se hai subito danni a causa di un “superlavoro”, devi fare il possibile per dimostrarlo, ma non preoccuparti troppo: i giudici stanno prendendo seriamente in considerazione questa problematica e stanno cercando di tutelare i lavoratori. Quindi, se ritieni di avere un caso, non esitare a farti avanti e ad agire di conseguenza. Ricorda che la tua salute viene prima di tutto e che hai il diritto di chiedere il risarcimento per i danni subiti.
La Cassazione ha recentemente fatto il punto sulla questione [1] mettendo in evidenza gli oneri probatori delle parti coinvolte, quando è in gioco un risarcimento. La Corte ha ricordato che l’articolo 2087 del Codice civilepone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
A questo fine, l’imprenditore è tenuto ad adottare tutte le misure atte a salvaguardare l’incolumità dei propri dipendenti.
Tali misure vanno distinte tra [2]:
- misure tassativamente imposte dalla legge;
- misure generiche dettate dalla comune prudenza;
- ulteriori misure che in concreto si rendano necessarie.
Cosa si intende per super lavoro?
Per “superlavoro” si intende lo svolgimento di un’attività lavorativa che ecceda la ragionevole tollerabilità. Sono esempi di “superlavoro”:
- l’eccessivo superamento dei limiti dell’orario di lavoro e l’imposizione distraordinari;
- l’imposizione al lavoratore dell’obbligo di raggiungere risultati produttivi incompatibili con lo svolgimento di un’ordinaria attività lavorativa;
- la richiesta di lavoro nelle festività o nei weekend;
- la rinuncia alle ferie.
Il datore deve rispettare e tutelare la salute del dipendente e non si può trincerare dietro eventuali accordi sottoscritti da quest’ultimo, e quindi accettati, che prevedano modalità di svolgimento della prestazione lavorativa in misura eccedente l’ordinaria tollerabilità. Infatti, il comportamento del lavoratore non esime l’imprenditore dall’adottare «tutte le misure tutelative dell’integrità fisico-psichica del predetto, comprese quelle intese ad evitare eccessività di impegno da parte di un soggetto» [3].
La tutela della salute sul luogo di lavoro
Il datore di lavoro non deve solo seguire le regole imposte dalla legge per proteggere la salute dei lavoratori, ma deve anche adottare tutte le misure che si dimostrino necessarie per evitare qualsiasi tipo di rischio per la loro incolumità.
Se l’imprenditore non adotta tutte le precauzioni necessarie per proteggere la salute dei lavoratori, potrebbe essere sanzionato. Questo include il mancato adeguamento del personale in caso di carichi di lavoro eccessivi, l’incapacità di impedire un lavoro che superi la normale tollerabilità e che causi danni alla salute dei lavoratori [4].
Inoltre, il datore di lavoro può essere sanzionato se l’ambiente di lavoro è stressante e dannoso per la salute dei lavoratori. In sintesi, il datore di lavoro ha la responsabilità di adottare tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul posto di lavoro.
L’onere della prova
Se il lavoro ha causato danni alla salute, il lavoratore può chiedere il risarcimento al datore di lavoro. Chiaramente lo dovrà fare ricorrendo al tribunale attraverso il proprio avvocato. Ma deve dimostrare che il danno è stato causato dal lavoro, provando che l’ambiente di lavoro è stato nocivo per la sua salute e che ha svolto la prestazione lavorativa in modo deviante, ad esempio con ritmi o quantità di produzione insostenibili o per un periodo di tempo troppo lungo.
Il lavoratore deve dare la prova dello svolgimento della prestazione secondo le asserite modalità nocive, evidenziando i relativi fattori di rischio (ad esempio, modalità qualitative improprie, per ritmi o quantità di produzione insostenibili, o secondo misure temporali eccedenti i limiti previsti dalla normativa o comunque in misura irragionevole).
Al lavoratore basta indicare la presenza nell’ambiente di lavoro di uno o più fattori di rischio per la sua salute. Non deve cioè sforzarsi nell’individuazione della specifica norma violata dal datore. Difatti, denunciando lo svolgimento di prestazioni lavorative oltre la tollerabilità, è in sé dedotto un inadempimento dell’obbligo di sicurezza ex articolo 2087 del Codice civile, che non necessita di ulteriori specificazioni.
Il lavoratore dovrà infine dimostrare che è proprio dal lavoro svolto che consegue il danno subìto (è il cosiddetto “rapporto di causalità” o di “causa-effetto”). Dovrà cioè fornire la prova che la prestazione lavorativa, svolta con modalità devianti, è stata la causa del pregiudizio alla salute da lui subito.
Per difendersi, il datore di lavoro ha l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ossia di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno stesso. Dovrà quindi dimostrare che la prestazione si è svolta invece secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili, o che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da una causa a lui non imputabile.
Mobbing e super lavoro
Se il super lavoro è frutto di un intento persecutorio del datore di lavoro ai danni di uno specifico lavoratore, rivolto proprio a umiliare ed emarginare quest’ultimo, allora scatta il risarcimento da mobbing, sicuramente più elevato perché tiene conto non solo del danno fisico e morale ma anche di quello psicologico e alla salute.
Nei piccoli ambienti di lavoro, dove il datore è a diretto contatto con i dipendenti quotidianamente, il mobbing integra anche il reato di maltrattamenti.
Danno da super lavoro: sentenze
In tema di azione risarcitoria ex articolo 2087 del Codice civile, per i danni causati da un’attività che ecceda la ragionevole tollerabilità, il lavoratore deve provare lo svolgimento della prestazione secondo modalità nocive e il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno. Il datore di lavoro, per il suo dovere di assicurare che l’attività non sia pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità del dipendente, deve dimostrare che la prestazione si è svolta invece secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili.
Cassazione, ordinanza 34968 del 28 novembre 2022
Rientra nell’obbligo datoriale di protezione previsto dall’articolo 2087 del Codice civile, in interazione con il diritto del lavoratore alle mansioni corrispondenti all’inquadramento (articolo 2103), la tutela contro le tecnopatie da costrittività organizzativa, potendosi configurare lo straining quando ci siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, o nel caso in cui il datore consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno, fonte di danno alla salute.
Cassazione, ordinanza 33428 dell’11 novembre 2022
Il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno in base all’articolo 2087 del Codice civile non può sottrarsi all’onere probatorio a suo carico, riportandosi alle conclusioni della commissione medica ospedaliera o del comitato di verifica in sede di accertamento della dipendenza dalla causa di servizio, ma deve provare l’esistenza di tale danno, la nocività dell’ambiente di lavoro, e il nesso tra l’uno e l’altro elemento. Il datore di lavoro deve invece provare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno.
Consiglio di Stato, sentenza 6370 del 20 luglio 2022
In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’articolo 2087 del Codice civile, la parte che subisce l’inadempimento ha l’onere di dimostrare, oltre che l’esistenza del fatto materiale, anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che il datore ha messo in atto un comportamento contrario alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che devono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.
Corte d’appello di Roma, sentenza 2875 del 30 giugno 2022
Il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro. Va comunque osservato che il datore di lavoro è responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia se omette di adottare le idonee misure protettive, sia se non accerta e vigila che di queste misure il dipendente faccia effettivamente uso.
Corte d’appello di Milano, sentenza 555 del 7 giugno 2022
La prova della responsabilità datoriale, in base all’articolo 2087 del Codice civile, richiede l’allegazione da parte del lavoratore, che agisce deducendo l’inadempimento, sia degli indici della nocività dell’ambiente lavorativo al quale è esposto – da individuare nei concreti fattori di rischio, circostanziati in ragione delle modalità della prestazione lavorativa – sia del nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione da parte del datore e i danni subiti.
Cassazione civile, sezione lavoro, ordinanza 35177 del 18 novembre 2021
Note:
[1] Cass. ord. n. 34968/2022.
[2] C. App. Milano, sent. n. 555/2022.
[3] Trib. Taranto, sezione lavoro, sentenza 3803 del 25 maggio 2012.
[4] C. App. Milano, sent. n. 555/2022. Cass. sent. n. 8267/1997.
Fonte: www.laleggepertutti.it