– Come funziona il comporto: il diritto alla conservazione del posto di lavoro e il licenziamento per lunghe assenze –
Quando si è costretti ad assentarsi dal lavoro per ragioni di salute certificate dal medico di famiglia può sorgere la preoccupazione di sapere quanto tempo si può stare in malattia prima di essere licenziati. La risposta presuppone la conoscenza del cosiddetto “periodo di comporto”. Il comporto è il tempo massimo di assenza per malattia a cui ha diritto un dipendente ed entro il quale non può essere licenziato (a meno che ovviamente non ponga in essere gravi comportamenti durante la malattia stessa, che possano pregiudicare il rapporto di fiducia con l’azienda).
Invece, una volta scaduto il comporto, il datore di lavoro può disporre unilateralmente la risoluzione del rapporto di lavoro, senza bisogno di fornire motivazioni. E non importa se il dipendente non ha alcuna colpa per il protrarsi della convalescenza.
La regola che abbiamo appena sinteticamente illustrato, e di cui parleremo meglio nel corso del seguente articolo, non si applica solo nel caso di infortunio sul lavoro causato dalla mancata adozione delle misure di sicurezza volte a tutelare la salute dei dipendenti. In tali ipotesi infatti il dipendente conserva il posto di lavoro anche oltre il periodo di comporto.
Ma procediamo con ordine e vediamo quanto si può stare in malattia prima di essere licenziati, quant’è il periodo di comporto e cosa succede se il lavoratore non si reca sul posto di lavoro una volta guarito.
Quanti giorni di assenza per malattia si possono prendere?
Durante il periodo di malattia, il lavoratore ha il diritto di mantenere il proprio posto di lavoro e di essere tutelato contro un eventuale licenziamento discriminatorio. Ciò significa che un datore di lavoro non può mai licenziare un lavoratore a causa delle assenze dovute al suo stato di salute.
Tuttavia la legge fissa un limite massimo del periodo di malattia oltre il quale invece l’azienda può risolvere il rapporto di lavoro e licenziare il dipendente. Questo limite è detto periodo di comporto.
Sebbene i contratti collettivi, ossia i CCNL, possano prevedere delle disposizioni più favorevoli, la legge stabilisce la durata del comporto solo per gliimpiegati, in base all’anzianità di servizio. In particolare, per coloro che hanno un’anzianità inferiore ai dieci anni, il comporto dura tre mesi, mentre per chi ha più di dieci anni di servizio la durata si estende a sei mesi.
Per gli operai, invece, la durata del comporto viene definita dai contratti collettivi.
Tuttavia, è possibile che la contrattazione collettiva estenda il periodo di comporto in caso di malattie lunghe che richiedono cure post-operatorie, terapie salvavita e gestione flessibile dei tempi di lavoro. Questo è particolarmente importante per i lavoratori che soffrono di malattie oncologiche, che spesso necessitano di un periodo di comporto più lungo del normale. In questi casi, il lavoratore ha l’onere di informare il datore di lavoro sulla sua condizione di salute.
Come si calcola il periodo di comporto?
Per calcolare il periodo di comporto, si può fare riferimento all’anno di calendario o all’anno solare, a seconda di quanto stabilito nei contratti collettivi. L’anno di calendario va dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno, mentre l’anno solare è un periodo di 365 giorni che decorre dal primo episodio morboso o dall’inizio della malattia (se continua) o, in caso di licenziamento, dalla data retroattiva del licenziamento stesso.
I contratti collettivi prevedono due tipi di comporto:
- secco, se il periodo di conservazione del posto è riferito a una sola malattia;
- per sommatoria o frazionato se il periodo di conservazione del posto si riferisce anche a più malattie. In tal caso la somma dei periodi di malattia non deve superare un limite prestabilito entro un determinato arco di tempo (ad esempio, 180 giorni in un anno solare).
Per il comporto per sommatoria si contano anche i giorni festivi o non lavorativi durante il periodo di malattia certificato dal medico. Tuttavia, non si tengono in considerazione i giorni festivi o non lavorativi che precedono o seguono immediatamente quelli indicati sul certificato medico.
Se il lavoratore è assente a seguito di ricaduta nella stessa o in diversa malattia, per verificare il superamento o meno del periodo di comporto contrattuale, la regola generale per cui un termine fissato a mesi (sia quello interno sia quello esterno) va computato secondo il calendario comune si applica solo se non esistono clausole contrattuali di diverso contenuto che dettano una durata convenzionale fissa costituita da un predeterminato numero di giorni (ad esempio 30), astrattamente basato sulla durata media del mese.
Cosa succede se si viene licenziati prima del comporto?
Il licenziamento intimato prima della scadenza del comporto è nullo. Pertanto esso non vale neanche se la malattia dovesse prolungarsi anche oltre il comporto. Il datore dovrebbe infatti emettere un nuovo licenziamento, che sarebbe valido solo se intimato una volta superato il termine del comporto.
Quando si può essere licenziati prima del comporto?
Abbiamo detto che non si può essere licenziati durante la malattia, ma ciò vale solo se il licenziamento è giustificato dalla malattia stessa. Ad esempio il datore di lavoro non potrebbe motivare la risoluzione del rapporto di lavoro per via dello scarso rendimento del dipendente che è spesso assente.
Ciò non toglie però che, per altre cause diverse dalla malattia, si può essere licenziati anche prima della scadenza del comporto. Ciò succede, ad esempio, in caso di:
- licenziamento disciplinare per condotte colpevoli o dolose commesse prima o durante la malattia (si pensi, ad esempio, al dipendente che prima di cadere ammalato ha rubato in azienda, comportamento questo scoperto dal datore solo successivamente; oppure si pensi al lavoratore che, nonostante la malattia, non si faccia trovare in casa dal medico fiscale o produca un certificato falso);
- licenziamento per giustificato motivo oggettivo: ossia per questioni collegate all’andamento dell’azienda, alla produzione o all’organizzazione della stessa (si pensi al licenziamento di un lavoratore addetto a un reparto che viene chiuso).
Cosa succede alla scadenza del comporto?
Come detto, alla scadenza del comporto il datore di lavoro è libero di licenziare il dipendente o di mantenerlo in servizio. Se opta per il licenziamento, il provvedimento non deve fornire altre motivazioni se non appunto il superamento del periodo di comporto.
Il datore potrebbe anche accogliere nuovamente il lavoratore sul posto per saggiare se questi è ancora in grado di svolgere le proprie mansioni. Ma tale periodo di “test” non può prolungarsi troppo.
Quando non si può essere licenziati mai se si è in malattia?
Il periodo di comporto si applica anche quando la malattia deriva da infortunio sul lavoro. Tuttavia se l’infortunio sul lavoro è stato determinato da un comportamento colpevole del datore, per non aver questi adottato le misure di sicurezza a tutela della salute dei dipendenti, l’assenza per malattia non è più soggetta al comporto. Sicché anche qualora tale termine dovesse essere superato, il licenziamento sarebbe sempre illegittimo.
Posso prendere le ferie durante la malattia?
Se sei assente dal lavoro per malattia e hai ferie già maturate, puoi interrompere il periodo di comporto per usufruire delle ferie. Devi fare richiesta scritta e presentarla tempestivamente al datore di lavoro prima della scadenza del periodo di comporto. Tuttavia, il datore di lavoro non è obbligato a convertire l’assenza per malattia in ferie automaticamente senza la tua richiesta né è tenuto ad avvisarti di tale possibilità. La decisione di concedere le ferie spetta all’imprenditore, che deve comunque tenere in considerazione l’interesse del lavoratore a mantenere il posto di lavoro.
Fonte: www.laleggepertutti.it