– Accusare un soggetto di un fatto che non è un reato non fa scattare la calunnia se tale fatto è vero –
La calunnia è un illecito che troppe volte viene invocato in modo improprio; si ritiene, ad esempio, che essa consista nell’accusare qualcuno di un fatto non vero. Ma se così fosse, nessuno eserciterebbe i propri diritti nel timore che, qualora il giudice la dovesse pensare in modo diverso o mancando qualche prova, si possa essere controquerelati per calunnia. Evidentemente le cose stanno in modo diverso e a darci una mano a districare la matassa è una recente sentenza della Cassazione (Cass. sent. n. 5740/2016). Ma procediamo con ordine.
Innanzitutto, per far scattare la calunnia, è necessario che l’accusa non venga rivolta a chicchessia (per esempio in pubblico, nel qual caso, piuttosto, scatterebbe la diffamazione), ma dinanzi a un giudice o a un altro soggetto che, per la sua funzione, sia obbligato a darne subito notizia al giudice (si pensi un carabiniere, la questura, la polizia, ecc.).
Il secondo elemento necessario per la calunnia è la consapevolezza, da parte del soggetto che procede alla denuncia, dell’assoluta falsità delle sue dichiarazioni e, quindi, dell’innocenza del soggetto accusato. Da ciò derivano alcune importanti conseguenze:
– per far scattare la calunnia è indifferente che il fatto sia vero o meno: si può, infatti, accusare qualcuno, senza rischiare la calunnia, anche se la vicenda, in realtà, è differente da come prospettato o anche se, alla fine del processo, il soggetto accusato risulta essere del tutto innocente;
– allo stesso modo non c’è calunnia se si accusa un soggetto di un fatto che, per il diritto, non costituisce un reato. Per cui, se si riporta un fatto realmente accaduto attribuito ad un soggetto inquadrato come reato e non lo sia, non si può essere condannato per calunnia se il fatto è vero.
In base al codice penale (Art. 368 cod. pen.), è punito per il reato di calunnia “chiunque con denuncia, querela (…) incolpa di un reato taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato..” con una pena che varia in base alla gravità del reato attribuito.
Qualora, invece, il fatto attribuito ad una persona sia stato realmente commesso ma, pur se descritto nella querela come reato, non lo sia, il querelante non può essere condannato per calunnia se ha comunque riportato la verità. È proprio quest’ultimo il chiarimento fornito dalla Cassazione nella sentenza in commento.
In sintesi, perché si possa rischiare la calunnia è necessario accusare qualcuno di un fatto realmente accaduto ed inquadrabile come reato, nella consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato.
Ecco alcune casistiche per cercare di capirci qualcosa in più.
Tizio incolpa Caio in pubblico di un reato che sa non aver invece commesso
Non è calunnia. La calunnia si manifesta solo se l’accusa avviene davanti a un giudice o un’altra autorità obbligata a riferirlo al giudice. Se l’accusa lede l’immagine di Tizio potrebbe sussistere la diffamazione.
Tizio incolpa Caio di un fatto che, al termine del processo, risulta falso
Non è calunnia solo se Tizio è in buona fede e ha proposto la querela credendo, colpevolmente, che il fatto fosse vero e che integrasse un reato. Se invece agisce in malafede, nella consapevolezza della falsità del fatto, c’è calunnia.
Tizio incolpa Caio di un fatto che, in realtà, ha commesso Sempronio
Non è calunnia solo se Tizio è in buona fede e realmente crede che il colpevole sia Caio. Se invece agisce in malafede, nella consapevolezza dell’innocenza di Tizio, c’è calunnia.
Tizio incolpa Caio di qualcosa che egli ha commesso ma che non costituisce reato
Non c’è calunnia se il fatto è vero. Diversa è la conclusione se il fatto è falso.
Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it