– Se il rumore supera la normale tollerabilità non serve la prova del danno; la compromissione psicofisica si presume –
Rumori in condominio: se stai sopportando il chiasso e il baccano proveniente dal vicino di casa, dal suo condizionatore o dallo stereo, dal locale notturno posto al piano terra o semplicemente per causa della maleducazione di chi grida, sposta i mobili o lascia la televisione accesa anche negli orari notturni, è molto probabile che ti stia già chiedendo, non solo come farlo smettere, ma anche come chiedere il risarcimento. Ecco quindi qualche utile chiarimento.
La prova del danno derivante dal rumore
Di certo, chi non dorme e non si riposa sta certamente peggio di chi dorme sopra sette cuscini: una massima di esperienza che ora la Cassazione applica alla lettera per affermare che, tutte le volte in cui si dimostri che il rumore proveniente dalla abitazione del vicino o da un locale supera la normale tollerabilità, il danneggiato non deve anche provare di aver subito una compromissione psico-fisica per ottenere il risarcimento. L’indennizzo, infatti, gli deve essere riconosciuto in automatico. È quanto risulta da una sentenza pubblicata a fine del mese scorso (Cass. sent. n. 13208/2016 del 26.06.2016).
Come noto, chiunque afferma un proprio diritto deve sempre dimostrarne il fondamento. Lo deve fare soprattutto davanti al giudice se vuole ottenere ragione al termine della causa. Ciò vale non anche per quanto attiene il danno subìto: chi pretende un indennizzo, deve anche poterlo quantificare in termini se non monetari, almeno di entità della lesione; difficile altrimenti sarebbe stabilire se il danneggiato abbia diritto a 10 o a mille euro.
Tuttavia si può essere esonerati dalla prova tutte le volte in cui regole di comune esperienza facciano ritenere, con un margine di assoluta certezza, che da un determinato evento conseguano quasi sempre specifici effetti.
Così, in caso di rumore intollerabile, è normale che si venga sempre pregiudicati nella qualità di vita, nel riposo, nella capacità di recuperare le proprie energie dopo il lavoro. Ad essere compromessa è anche l’intimità domestica, la pace, l’isolamento dal mondo esterno. Non in ultimo, un appartamento rumoroso subisce anche un deprezzamento sul mercato. Questo è uno di quei casi in cui il soggetto leso può evitare di dimostrare il danno, fermo restando comunque l’obbligo di dare prova dell’evento da cui il danno è derivato (il rumore intollerabile).
Così giustamente la Cassazione dice che, in caso di danni da rumori dei vicini, tutto ciò che bisogna dimostrare al giudice è che il chiasso prodotto dal vicino o dall’attività commerciale sia superiore alla normale tollerabilità. Non c’è bisogno, poi, di dare prova di aver subito un danno psico-fisico poiché questo si presume sempre.
Per inciso: il superamento della “normale tollerabilità” è un criterio astratto, stabilito dal codice, che va valutato caso per caso, anche in base al luogo ove si trova l’immobile (più centrale è l’appartamento, più alti devono essere i rumori del vicino per procurare un danno, in quanto potrebbero essere superati dal rumore proveniente dall’esterno; invece, in una zona di campagna pacifica, è più facile superare la soglia della normale tollerabilità).
La prova del rumore intollerabile
Più difficile è dimostrare la presenza di un rumore intollerabile. Non basta, infatti, dar prova solo del fatto che si sia sentito chiasso, ma bisogna anche dimostrare che esso è stato “superiore alla normale tollerabilità”. Di norma questo elemento viene valutato da perizie fonometriche che accertano l’entità dei decibel provenienti dalla fonte di rumore. Ma non sempre ciò è possibile (si pensi al vicino che, di notte, sposti i mobili e che, allertato dall’avvio della causa, cessi i comportamenti molesti, così rendendo impossibile la determinazione dell’entità del fragore). In questi casi il giudice può basarsi anche sulla base di prove testimoniali: se altri condomini affermano di aver sentito gli stessi rumori, ritenendoli insopportabili, allora può ritenere provato il fatto lesivo.
Il rumore non sempre è reato
Il problema delle immissioni rumorose, spese se notturne e provenienti da locali di intrattenimento, è molto avvertito nei condomini degli edifici perché incide sulla serenità e sulla qualità della vita di ciascuno dei partecipanti.
Tenere la musica ad alto volume per tutta la notte, sino alle quattro del mattino, può integrare l’elemento materiale del reato del disturbo delle occupazioni e del riposo (Art. 659 cod. pen.). Stabilisce infatti il codice penale: chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda sino a 309 euro.
La norma prevede quindi due ipotesi divere a seconda della fonte del rumore:
- nella generalità dei casi per far scattare il reato è necessario che i rumori superino la normale tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo;
- invece, quando il rumore provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi (come quella che svolge all’interno di un pub e/o di un ristorante con musica dal vivo), in tal caso si presume la turbativa della pubblica tranquillità e l’intollerabilità del rumore.
Mentre il primo caso è, dunque, volto a tutelare il riposo e la tranquillità del vicinato e richiede l’accertamento concreto del disturbo arrecato, nel secondo invece, si prescinde dalla verificazione della misura del disturbo, integrando un’ipotesi di presunzione legale di rumorosità, al di là dei limiti tempro-spaziali e/o delle modalità di esercizio imposto dalla legge, dai regolamenti o da altri provvedimenti adottati dalle competenti autorità.
Con una recente sentenza la Cassazione (Cass. sent. n. 25424/2016 del 20.06.2016) ha detto che, quando i rumori provengano da un locale notturno (si pensi una discoteca o un cabaret) il reato scatta solo se i rumori siano in grado di disturbare un numero indeterminato di persone, così da soddisfare il requisito della “turbativa della pubblica tranquillità”. Se tale prova non viene raggiunta in giudizio, il titolare del locale in cui si è svolto lo spettacolo musicale va assolto perché “il fatto non sussiste”.
Fonte: La Redazione di http://www.laleggepertutti.it
DAL PRIMO GIORNO